Il saluto nelle arti marziali

IL RISPETTO

Il termine rispetto ha per me un’eco immediata e diretta con le arti marziali. Quella che io pratico, KAI SAI DO, è un’ arte marziale BUDO, (via dell’arte marziale),cioè non sportiva o da combattimento fine a se stesso, ma finalizzata innanzi tutto al percorso della “propria” via interiore. D’altronde non è certo un caso che tutte le arti marziali derivino dal monastero di Shaolin in Cina, dove i monaci buddisti svilupparono queste tecniche non certo per aggredire, sconfiggere, conquistare, uccidere i nemici, ma per  difendersi dalle aggressioni e rimanere in vita per poter continuare a diffondere la parola del Buddha.

Per parlare del rispetto ho scelto un esempio che nell’immaginario di tutti noi corrisponde allo stereotipo della esteriore formalità giapponese, ma che in realtà racchiude degli insegnamenti molto profondi perché nella cultura giapponese la forma E’ contenuto: la cerimonia del saluto.

Il termine giapponese per rispetto è REI, parola che significa anche cortesia. La mia scuola si chiama “SHO-REI KAN” che si può tradurre con “Scuola del rispetto e delle buone maniere”. (Sho=primo Rei=rispetto, cortesia Kan=scuola).

Il Rei è un importante aspetto del modus vivendi orientale, è la norma più importante della vita sociale. Il rei (礼) è un concetto fondamentale anche per tutte le arti marziali di origine giapponese in quanto espressione della cortesia, del rispetto e della sincerità. Il rituale del saluto è semplice nella sua forma esteriore, ma molto complesso nel suo aspetto interiore; è una presa di coscienza di se stessi, dei compagni, della palestra e dell’arte che si sta per praticare e non deve mai diventare un automatismo, un’abitudine o un obbligo imposto dal maestro. Il saluto non simboleggia una superficiale manifestazione di educazione, ma un lavoro completo sulla persona: la ricerca di una migliore adesione alla via (). Il praticante, attraverso il saluto, si prepara in modo giusto  all’allenamento, che richiede pazienza, umiltà e controllo dei propri sentimenti , e dunque un lavoro disciplinato, costante, consapevole e responsabile. Questo è lo spirito della via marziale: la prima lotta che bisogna vincere è quella contro la propria presunzione, l’umiltà è un atteggiamento  che bisogna assumere nella vita, non per “sottomettersi”, ma proprio per limitare, “abbassare” il proprio “io” riconoscendo implicitamente quello dell’altro.

Non è certo un caso, quindi, che nel karate l’espressione che si usa più frequentemente nel rivolgersi agli altri è “onegai shimasu” (equivalente al nostro “buongiorno”, ma che vuol dire “per favore aiutami“), che contiene al suo interno la parola “osu” (pronunciata oss) che si potrebbe sommariamente tradurre con “sopportare e controllare sé stessi” o “tollerare controllandosi”. Questa espressione viene usata in palestra quando si salutano i compagni o il maestro, perfino quando ci si incontra, o ci si saluta al telefono o al bar! Trasmette, inoltre, un importante messaggio: il rispetto per l’arte e per la via, la voglia di superare sé stessi mettendo da parte l’io a favore del fine ultimo. Tutto questo è totalmente racchiuso e sintetizzato nella formula del saluto rituale che eseguiamo sempre all’inizio e alla fine di ogni lezione.

Il saluto può essere fatto in due modi:

Ritsurei – saluto in piedi

dove, dopo aver unito i talloni e portato le mani aperte e ben tese lungo le cosce, si piega leggermente in avanti il busto, ma solo dopo che lo stato d’animo sia calmo e consapevole. Anche in questo tipo di saluto ci sono piccoli dettagli che ne svelano significati più profondi: uno è la profondità dell’inchino che indica quanto si ritiene autorevole chi lo riceve, l’altro è lo sguardo che viene rivolto verso terra solo quando si vuole comunicare un’implicita e totale sottomissione all’interlocutore. Se, viceversa, lo si mantiene negli occhi dell’altro, è segno che lo si rispetta e lo si saluta, ma che lo si considera un pari grado. (Il Ritsurei viene eseguito anche quando si entra nel dojo, in segno di rispetto al luogo stesso, quando ci si mette di fronte ad un compagno per praticare insieme, e prima di iniziare un kata, forma codificata di tecniche che si esegue da soli contro un avversario immaginario.)

Zarei – saluto in posizione inginocchiata

Quando sta per cominciare la lezione gli allievi si allineano di fronte al maestro per ordine di grado ed è quello di livello più elevato che “dirige” la cerimonia dando i comandi che ne scandiscono modalità e temi  che sono i seguenti:

SHUGO (allinearsi)

tutti gli allievi si dispongono sbattendo le mani lungo i fianchi “sull’attenti”.

SEIZA (seduti)

gli allievi, dal grado più alto al più basso, si siedono nella tradizionale posizione di seiza (正座), che è la posizione classica sui talloni con la colonna vertebrale diritta per potere respirare in modo corretto. Da un punto di vista “pratico”, questa posizione è il retaggio della casta dei samurai perchè, se necessario, permetteva loro di sguainare agevolmente la spada anche da una posizione così svantaggiata. Da un punto di vista “simbolico” implica, in senso posturale, l’allineamento perfetto del ventre, del busto e della testa, centri, rispettivamente, della volontà, dell’emotività e dell’intelletto. La posizione del saluto è inizialmente verticale ed esprime la “via spirituale” che scende nella “via materiale” quando ci si inclina orizzontalmente di fronte a chi sta per darci gli strumenti per poterla raggiungere.

MOKUSO (meditazione)

Tutti i presenti, Maestro compreso, chiudono gli occhi e, controllando la respirazione, immobili e in silenzio, meditano per qualche minuto, per creare il vuoto nella mente liberandola da ogni preoccupazione e pensiero, sino a quando viene pronunciata la formula MOKUSO YAME cioè fine della meditazione.

SHINDEI NI REI (saluto al tempio)

In ogni dojo è sempre presente l’emblema della scuola e la foto del fondatore della scuola. Tutti, compreso il Maestro, si inchinano di fronte a lui, non in segno di idolatrica adorazione, ma per mantenere sempre presente il ricordo della tradizione, degli insegnamenti, della continuità con il passato.

SENSEI NI REI (saluto al Maestro)

tutti gli allievi, sempre nella posizione seiza, appoggiano le mani a terra e piegano il busto in avanti, sino a toccarle con la testa, per salutare il Maestro.

OTAGAI NI REI (saluto tra gli allievi)

gli allievi, disposti su file, si girano verso quella a loro parallela e salutano gli altri praticanti nello stesso modo.

Il Maestro si alza e quando con un piccolo gesto invita tutti a farlo, l’allievo “anziano” pronuncia la formula che chiude il rito del saluto cioè

KIRITSU

La filosofia racchiusa nel saluto deve essere presente non solo nell’allenamento, ma deve estendersi a tutti gli aspetti quotidiani e deve essere di guida per ogni praticante nel comportamento da tenere verso gli uomini e verso la vita.
Il saluto è l’essenza del rispetto ed il rispetto è l’anima dell’arte marziale: se andasse perso, lo sarebbe anche il valore dell’arte marziale.

Questo per quello che riguarda la cultura giapponese e il karate, ma credo sia abbastanza evidente l’ affinità profonda con gli insegnamenti della Torah e anche con il significato etimologico della parola italiana. Perché “rispetto” deriva dal verbo latino

respĭcĭo 

(respĭcĭo, respĭcis, respexi, respectum, respĭcĕre)

riguardare (v.intr.), cioè “vedere” per davvero chi ci sta di fronte

guardare indietro (loc.), cioè ricordare il passato, la nostra storia, le nostre radici,

sperare (v.tr.)
, cioè andare avanti verso qualcosa di migliore partendo da ciò che abbiamo vissuto

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